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Promemoria sui problemi della contraffazione in Italia

Indice

  1. Contraffazione, pirateria e altre violazioni dei diritti di P.I.: un arcipelago
  2. La contraffazione come filiera e il problema dell’ “acquirente consapevole”
  3. Corresponsabilizzazione delle autorità locali inattive
  4. Ancora sulla filiera della contraffazione: dove e come reprimere
  5. Importanza dell’informatizzazione nella lotta alla contraffazione e apporto delle tecnologie di autenticazione e tracciabilità
  6. La contraffazione sul web
  7. La contraffazione nelle Fiere internazionali e le modalità per contrastare questo fenomeno
  8. Le Sezioni Specializzate in materia di tutela dei diritti di P.I.
  9. Il rafforzamento delle capacità di tutela in sede penale da parte del sistema giudiziario
  10. Introduzione di sanzioni amministrative proporzionate per importatori, venditori e produttori di prodotti contraffatti
  11. Contraffazione e made in Italy
  12. a contraffazione non colpisce solo oggetti “futili”: è un pericolo, diretto o indiretto, per la sicurezza collettiva

Premessa

• Il Promemoria sui problemi della contraffazione in Italia qui presentato è l’aggiornamento di un documento con lo stesso titolo elaborato e diffuso da INDICAM in primavera del 2004.
• Nei sei anni trascorsi da allora vi sono stati infatti una serie di mutamenti tanto delle “condizioni al contorno” in grado di influenzare l’andamento del fenomeno quanto delle iniziative (legislative, organizzative e così via) destinate a contrastarlo.
• All’epoca della redazione originaria del documento, già da alcuni anni era divenuto chiaro che il fenomeno della contraffazione da patologia economica contagiosa ma relativamente localizzata aveva preso la strada di una pandemia globalizzata.
• Diffondendo la propria posizione fra amministratori pubblici, politici, magistrati, associazioni imprenditoriali e sociali, stampa, l’obiettivo perseguito da INDICAM era soprattutto quello di esprimere una posizione meditata e sistemica, al di là del sensazionalismo con cui il fenomeno veniva per lo più seguito, che potesse aiutare a progettare e mettere in atto misure atte a combatterlo.
• L’obiettivo non è naturalmente mutato da allora ma il testo diffuso oggi tiene conto di una serie di positivi cambiamenti introdotti dal legislatore italiano e in genere nella nostra Amministrazione, che sono spesso andati nella direzione da noi allora raccomandata. Molto vi è ancora da fare, ma sicuramente i progressi rispetto alla situazione precedente sono qualcosa di più di semplici segnali che confermano che si sta imboccando una strada giusta.
• Per converso, la crisi che ha colpito l’economia mondiale dalla fine del 2008 non sembra aver avuto effetti sul business della contraffazione: questa divergenza finisce per penalizzare ancora di più il sistema industriale rendendo assolutamente indispensabile mantenere elevato il livello di guardia con investimenti che rendano più efficace la lotta alla contraffazione.
• L’obiettivo è dunque il consolidamento dei risultati raggiunti rendendo più efficace l’applicazione delle misure adottate e il loro completamento su aree specifiche rimaste parzialmente o totalmente scoperte.
• Di particolare urgenza fra queste ultime risulta il varo di una normativa che contrasti il nuovo flagello che rischia di far cambiare rapidamente di scala al fenomeno: la diffusione della contraffazione attraverso il web.
• Fra le prime, l’adozione di misure (assai più spesso di strategia d’intervento e di volontà politica che non di tipo normativo) che:
o inseriscano in modo strutturale e permanente nel recentemente istituito Comitato Nazionale Anticontraffazione una qualificata rappresentanza delle forze produttive;
o inneschino un circuito virtuoso “informazione – formazione – sanzione” nei confronti della “domanda di contraffazione” presente;
o consentano l’effettiva eliminazione dal mercato del prodotto contraffatto sequestrato a costi e in tempi ragionevoli;
o favoriscano un’efficace autodisciplina sulle problematiche di contraffazione negli eventi fieristici.
• A completamento dei punti menzionati fin qui, appare doveroso ricordare che la lotta alla contraffazione non è un’attività “elargita” a favore dell’industria da parte della P.A. ma un impegno fondamentale e strutturale cui è chiamato l’intero sistema politico, economico, sociale e civile.

1. Contraffazione, pirateria e altre violazioni dei diritti di P.I.: un arcipelago

Nell’accordo TRIPS esistono due definizioni, per quanto riguarda la merce contraffatta e usurpativa, che stabiliscono i corretti “paletti” da adoperare: si parla di counterfeit trademark goods e di pyrated copyright goods, all’interno di quest’ultima categoria essendo compresi, congruentemente con i criteri della cultura anglosassone, i disegni e modelli.
Alle spalle di queste due forme nette di violazione esiste tutto un complesso arcipelago: abusi dei contratti di licenza (di produzione e/o di distribuzione) che danno luogo a fenomeni diversi, quali la produzione di serie illegittime o importazioni parallele illegali, imitazione servile, sviamento commerciale, ecc. fenomeni che, caso per caso, possono situarsi giuridicamente su un terreno più prossimo alla contraffazione/pirateria ovvero alla concorrenza sleale, ma che tutti forniscono un fertile humus a contraffazione e pirateria propriamente dette.
Occorre poi aggiungere che l’innovazione tecnologica e la globalizzazione hanno accentuato e agevolato condotte un tempo impensabili. È intuibile come il web abbia favorito anche l’accesso diretto da parte del consumatore a fonti di prodotti contraffatti altrimenti remote, fornendo ulteriori prospettive “di marketing” ai contraffattori. La conseguenza di questa accessibilità è un’inedita modalità di diffusione della contraffazione: per le Dogane comunitarie per esempio la parcellizzazione delle spedizioni trasnazionali, che può essere contrastata solo con un enorme dispendio di risorse umane ed economiche, a fronte di una ridotta efficacia in termini di risultati. Tra l’altro la nuova “contiguità virtuale” tra operatori della contraffazione e consumatori rende questi ultimi maggiormente complici quando alimentano l’offerta acquistando consapevolmente prodotti contraffatti o maggiormente vittime quando scoprono la natura del loro acquisto solo a pagamento avvenuto, dopo aver perso ogni contatto con il venditore.
Il dato importante è rendersi conto che combattere contraffazione e pirateria è un obbligo di minima di carattere morale, civile, sociale, economico, non un’opzione industriale/commerciale da applicare nei confronti di sistemi economici concorrenti o un esercizio di patriottismo.

2. La contraffazione come filiera e il problema dell’ “acquirente consapevole”

Come nel commercio legittimo, anche nel suo “doppio” illegale rappresentato dalla contraffazione, è teoricamente possibile individuare una filiera in cui distinguere produttori, trasformatori, distributori e acquirenti finali, attivi ormai sul mercato globale.
Contrariamente al commercio legittimo, dove una filiera palese può venir analizzata lungo il suo percorso completo in entrambi i sensi, nel caso della contraffazione non solo non è così, ma esistono due tipologie di acquirenti finali radicalmente diverse: l’acquirente consapevole e l’acquirente inconsapevole.
Mentre nei confronti di quest’ultimo la strategia non può essere che quella della protezione attraverso la repressione dei contraffattori (su cui torneremo più avanti), nei confronti del primo assume grande importanza anche una profonda opera di sensibilizzazione attuata attraverso la comunicazione.
L’acquirente consapevole è infatti il rappresentante della “domanda” dei beni contraffatti e una disincentivazione di quest’ultima non può che avere effetti di scoraggiamento dell’ “offerta” complementari agli altri strumenti messi in atto per combatterla.
Quando si parla di comunicazione, occorre considerare sia strumenti selettivi, come depliants o locandine che sensibilizzino pubblici particolari o in occasioni particolari (scuole, mercati comunali, stazioni ecc.), sia strumenti di massa.
INDICAM è stato pioniere in questo senso, pubblicando ormai da anni la propria pagina istituzionale “Un prodotto falso è un reato vero” e mettendo a disposizione degli enti locali che vogliano utilizzarlo il materiale per la stampa, auspicando tuttavia un intervento più incisivo e coordinato a livello governativo. Ed in effetti negli ultimi anni l’auspicio di INDICAM è stato raccolto in primis dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, che già nel 2006 ha promosso le prime campagne pubblicitarie e, in tempi più recenti, dal Ministero dello Sviluppo Economico, che ha avviato ripetute campagne di informazione utilizzando stampa e televisione.

Ancora in tema di acquirente consapevole, se quanto suggerito più sopra rappresenta la fase preventiva (educativa), è altresì necessaria anche una fase repressiva. Il comportamento dell’acquirente consapevole infatti costituisce di per sé un “cattivo esempio” che, al di là dei danni economici che reca ai titolari di diritti, nutre e stimola l’ “offerta” con effetti di visibile impunità che sono di per se stessi devastanti. Se a livello teorico alcuni giuristi sostengono che l’acquirente consapevole di prodotti contraffatti potrebbe essere considerato penalmente perseguibile per ricettazione ovvero per incauto acquisto, a livello pratico questa strada è sempre apparsa difficilmente percorribile per due ordini di ragioni. Da un lato la sanzione penale spiega i suoi effetti di deterrenza e prevenzione solo nella misura in cui il consumatore è effettivamente consapevole della sua esistenza (ciò anche in considerazione del fatto che il destinatario della sanzione non è un criminale comune, incline ad accettare il rischio di una condanna). Sotto un diverso profilo è evidente che la sanzione penale è sproporzionata se applicata al consumatore e verrebbe percepita come una mera persecuzione, perdendo l’effetto “educativo” che invece è connaturato alla sanzione amministrativa.
Alla luce di queste considerazioni INDICAM ha sempre sostenuto la necessità di introdurre una sanzione amministrativa economicamente proporzionata nei confronti del consumatore consapevole, lasciando che la repressione penale agisse, efficacemente, nei confronti del solo “operatore”.
Già nel 2005 il Ministero dello Sviluppo Economico (all’epoca Ministero delle Attività Produttive) aveva introdotto la sanzione amministrativa applicabile al consumatore. Tuttavia il testo allora previsto (legge 14 maggio 2005, n. 80) non ha trovato applicazione massiccia, scontando una formulazione approssimativa, sia per la subordinazione della sanzione amministrativa alla sussistenza della sanzione penale sia per l’entità dell’ammenda.
Finalmente la legge 23 luglio 2009 n. 99, fra l’altro, ha modificato il testo della norma che prevede la sanzione amministrativa, sottraendo la condotta del consumatore finale all’applicabilità della sanzione penale e fornendo alle Autorità Locali uno strumento per operare un efficace intervento sul mercato, a patto che ne rispettino lo spirito e la lettera.
Le modifiche introdotte dalla legge 99/2009 hanno quindi razionalizzato il testo di legge e, si auspica, rimosso tutti gli impedimenti ostativi all’applicazione della norma, che spetta, principalmente, anche se non esclusivamente, alla polizia locale.

3. Corresponsabilizzazione delle autorità locali inattive

Poiché l’applicazione della sanzione amministrativa compete, principalmente, alle autorità amministrative, è su queste che bisogna essere pronti ad agire d’intesa con le autorità di sorveglianza. Così facendo, si potrebbe colpire un altro aspetto strettamente connesso a quello dello “acquirente consapevole”: il grave fenomeno dell’ “autorità locale acquiescente”.
È evidente infatti che uno dei punti terminali della contraffazione, il commercio abusivo di strada, si basa su tre componenti: colui che vende i prodotti (per lo più un immigrato clandestino), il consumatore che li acquista e le autorità locali che non solo non intervengono, ma lasciano che tutto accada sotto i loro occhi volutamente distratti. Tra l’altro è quest’ultimo aspetto a risultare il meno comprensibile e accettabile per i rappresentanti di paesi stranieri nostri partner commerciali, con un effetto di discredito per l’intero Sistema Paese che probabilmente va anche al di là degli effettivi danni economici provocati dalla contraffazione da strada.
Ma ancora una volta, come nel caso dell’ambulante abusivo che esibisce tranquillamente la sua merce lungo strade e piazze e della signora borghese che altrettanto tranquillamente l’acquista, il vigile urbano che gira la testa dall’altra parte per non essere costretto ad intervenire costituisce un potentissimo e frequentissimo spot a favore della contraffazione. Questo spettacolino proclama a chiare lettere che vendere e acquistare prodotti contraffatti è un comportamento lecito o comunque tollerato: ci troviamo certamente quindi di fronte ad una omissione di atti d’ufficio.

4. Ancora sulla filiera della contraffazione: dove e come reprimere

Abbiamo affermato più sopra che la filiera della contraffazione, strutturalmente simile a quella del commercio legittimo, non è – per sua natura – altrettanto trasparente, anzi non lo è affatto. Se essa affiora in superficie al momento dell’acquisto finale consapevole (che rappresenta comunque una porzione limitata dell’intero fenomeno e degna di nota soprattutto per il devastante valore di cattivo esempio), il resto della filiera (compreso naturalmente l’acquisto finale inconsapevole e spesso gravemente pericoloso per la sicurezza dei consumatori) rimane occulto. Sue porzioni possono venire individuate solamente attraverso attività di indagine e di intelligence, vuoi di attori privati (agenzie investigative al servizio dei titolari dei diritti), vuoi delle forze di polizia e, con massima efficacia, dalla cooperazione fra questi due elementi, come operazioni stimolate o avviate da INDICAM hanno dimostrato in numerose occasioni.
Fino a non molti anni fa queste attività potevano essere concentrate soprattutto sul territorio nazionale, nelle zone a rischio del Paese, corrispondenti assai spesso ai distretti produttivi specializzati: in essi infatti il know-how acquisito in certe lavorazioni veniva (e viene tuttora) utilizzato sia in maniera legittima che in maniera illegale, sovente dagli stessi soggetti e dalle stesse aziende, che di giorno lavorano come sub-fornitori per i titolari di marchi e di notte lavorano per se stessi a produrre contraffazione. Altre zone di sorveglianza elettiva erano quelle a forte diffusione di lavoro nero e minorile.
Ciò fino a ieri; oggi la situazione è infinitamente più complessa:
con la creazione del mercato interno europeo e l’affermarsi della globalizzazione, è attraverso i varchi doganali che transita una massa crescente di contraffazione, sia come prodotto finito, sia come semilavorato (componenti in generale, tessuti, imballaggi, etichette, marchi, contenitori) da perfezionare o assemblare in Italia o in altri paesi UE;
con la crisi economica sopravvenuta dal 2008 tuttora in atto, la tentazione di ricostituire margini attraverso pratiche illegali per operatori in difficoltà e con pochi scrupoli si è spesso fatta irresistibile: sono così aumentate forme di complicità oggettiva ancorché non necessariamente diretta e volontaria con la contraffazione, che d’altra parte “si presta” per molte sue caratteristiche – non ultima la poca attenzione e severità con cui in genere è considerata da legislatore e tribunali pressoché ovunque – ad essere “cavalcata” a questo fine.
In questo scenario, con questo combinarsi di circostanze, è particolarmente importante che:
o il contrasto della contraffazione assuma una dimensione genuinamente europea in termini innanzitutto doganali, evitando che le frontiere dell’Unione abbiano gradi di permeabilità diversa al fenomeno, come di fatto oggi avviene;
o vi sia una forte sinergia e cooperazione fra le attività di valutazione rischi e controllo delle dogane e quella investigativa sul campo e repressiva delle forze di Polizia, in primis della Guardia di Finanza che, come polizia economica e finanziaria d’elezione, è in grado di operare su tutta la filiera e nei confronti di tutte le fattispecie rilevanti;
o siano favorite al massimo le operazioni investigative sullo scacchiere internazionale con accordi di cooperazione amministrativa con Paesi terzi, particolarmente quelli d’origine.

5. Importanza dell’informatizzazione nella lotta alla contraffazione e apporto delle tecnologie di autenticazione e tracciabilità

L’informatizzazione diffusa è il solo strumento conosciuto e sostenibile per rendere interoperative e addizionare per aggregazione le potenzialità individuali delle diverse agenzie di contrasto alla contraffazione a livello nazionale, comunitario e globale. Questo processo è ovviamente già in corso almeno da alcuni anni sia nel nostro Paese (con esempi di banche-dati eccellenti come il doganale FALSTAFF o quella della GdF, già in parte interfacciate) sia nel resto dell’Unione, ma andrebbe potenziato, sistematizzato e allargato a tutte le amministrazioni detentrici di dati relativi alla P.I. e alle connesse violazioni, arrivando alla creazione di un punto centrale di raccolta dati, coordinamento e gestione per l’Italia (ad esempio presso il MISE) e per l’Unione Europea (per esempio presso l’OLAF).
Importante ne sarebbe altresì l’apertura sia ai contributi che alla consultabilità (con ovvie restrizioni) da parte delle aziende. La possibilità di interrogare database rilevanti a basso costo è infatti fondamentale non solo per gli organi doganali e di polizia, ma anche per gli aventi diritto, in modo da consentire a tutti una libera informazione ed una migliore libera autotutela.

Ad esempio il Regolamento Doganale prescrive che il titolare dell’azione debba avere un titolo “validamente registrato” per essere legittimato ad agire: in questo senso è estremamente positiva la recente decisione di mettere in vigore anche in Italia il sistema amministrativo della “opposizione”, che consente di ridurre i costi che i legittimi titolari debbono subire per difendere i propri marchi da violatori che ne tentano la registrazione in proprio, al fine fraudolento di crearsi dei titoli alternativi prima facie altrettanto validi. Fondamentale a questo punto è che la possibilità di utilizzare questo strumento venga implementata a livello pratico con la massima urgenza. INDICAM è particolarmente orgoglioso della collaborazione che al proposito si sta avviando con l’UIBM per la formazione di esaminatori, premessa all’introduzione di un vero salto di qualità nel sistema nazionale dei marchi d’impresa.
Allo stesso modo andrebbe incoraggiato e incentivato, nel settore privato, l’utilizzo delle innumerevoli tecnologie dedicate, oggi disponibili a fini di anticontraffazione: in questa prospettiva la messa in atto di tecniche di sicurezza dovrebbe diventare una componente intrinseca delle strategie aziendali, con funzione sia di autoprotezione del privato, sia di supporto alle pratiche di contrasto alla contraffazione del pubblico.
Poiché, come abbiamo visto, è la filiera in tutta la sua ampiezza che può essere soggetta a problematiche connesse con l’abuso dei diritti di P.I. da parte di terzi, l’implementazione di un sistema di sicurezza può funzionare come un efficiente sistema di autenticazione e tracciabilità totale, il cui effetto sia quadruplice:

  • rendere più difficoltosa la perpetrazione di abusi;
  • facilitare la loro individuazione quando vengano compiuti;
  • minimizzare gli eventuali danni da essi causati;
  • agevolare il compito degli operatori di giustizia.

E ciò non perché la tracciabilità possa essere una panacea di per sé – come una certa vulgata tende oggi acriticamente a postulare – ma perché rappresenta un validissimo strumento ausiliare non solo sul versante pubblico ma anche su quello aziendale a medio e lungo termine. L’interfacciamento delle banche dati delle agenzie governative che operano nel settore della contraffazione con quelle aziendali possono infatti fornire il materiale per le analisi di intelligence necessarie per identificare i fenomeni più rilevanti e pericolosi e disegnare le relative strategie di contrasto.

6. La contraffazione sul web

Innovazione tecnologica, globalizzazione, web: ne abbiamo già anticipato il ruolo come elementi chiave nella mutazione della contraffazione.
In particolare la crescita esponenziale dell’uso di Internet, accanto alla positiva funzione di grande propulsore del commercio legittimo, strumento d’elezione per raggiungere una platea mondiale di consumatori a costi limitati, con grande visibilità d’offerta e assoluta facilità d’accesso, ha rappresentato e rappresenta al contempo – con un risvolto paradossale – un fattore di crescita dell’attività contraffattiva.
Gli stessi tratti del web che favoriscono il commercio legittimo, finiscono infatti per essere preziosi anche alla filiera della contraffazione: dalla progettazione alla distribuzione fino al contatto con il consumatore finale, sia quello “consapevole” che ne viene attratto sia quello inconsapevole che ne diviene facile vittima.
Tra questi tratti: l’anonimità dell’offerta o la facilità di simularne l’autenticità, la possibilità di scegliere tra un’amplissima tipologia di punti vendita virtuali (dalla “bancarella” allo “spaccio”), la sicurezza delle transazioni sia sul lato economico (grazie alla disponibilità di sistemi di pagamento on line sicuri), sia su quello distributivo-logistico in quanto le maglie della rete sono, di solito, sufficientemente larghe da lasciar passare le piccole spedizioni che interessano i consumatori finali.
Lo scenario di riferimento si è, sotto questi profili, radicalmente modificato in pochi anni: a mano a mano il web è diventato sempre più un abituale canale di commercio per le più varie tipologie di prodotti su tutte le possibili modalità b to c, b to b, c to c sia nel commercio legittimo che in quello contraffattorio.
Una risposta efficace deve pertanto prendere in piena considerazione l’esigenza di dirigersi verso una platea di offerte e di protagonisti – venditori di merce contraffatta; acquirenti consapevoli; acquirenti inconsapevoli; aziende dedite alle attività contraffattorie che si rivolgono ad altre aziende per distribuire prodotti non autorizzati su scala spesso mondiale – che anche solo pochi anni fa non era immaginabile né nella sua attuale profondità di penetrazione né negli attuali volumi di traffico.
Nate 10 anni fa in uno scenario completamente diverso e avendo come obiettivo di agevolare al massimo il successo e la diffusione del commercio elettronico, le norme che lo riguardano oggi in vigore nell’Unione Europea (in particolar modo, la Dir. n. 2000/31/CE, attuata in Italia con il D.Leg. 9 aprile 2003, n. 70) semplicemente non hanno né considerato di particolare gravità né previsto di particolare rilievo il potenziale incremento della contraffazione (che ex post è invece risultato esponenziale). Un chiaro esempio ne è la limitazione della responsabilità dei cosiddetti Internet Service Providers e più in generale dei fornitori di servizi via web.
INDICAM ritiene che sia giunto il momento di intervenire sulla normativa, per completarne il quadro alla luce delle esperienze e delle evidenze maturate nel frattempo; allo stesso modo, e per le stesse ragioni, ritiene indispensabile promuovere in ogni modo accordi plurilaterali collettivi tra i soggetti coinvolti da entrambe le parti (titolari di diritti e Internet Service Providers – fornitori di servizi via web), al fine di sviluppare e rendere più efficace una comune azione di contrasto del fenomeno della contraffazione annidata nel web stesso.
Sul primo aspetto, INDICAM ha elaborato, d’intesa con la Direzione Generale Lotta alla Contraffazione – UIBM, una proposta volta a integrare la legge italiana (il già ricordato D. Leg. n. 70/2003) che nel contempo possa collocarsi a pieno titolo e senza difficoltà in un ambito di compatibilità con le norme della Direttiva; l’articolato è attualmente al vaglio dell’Ufficio Legislativo del Ministero dello Sviluppo Economico.
Auspichiamo fortemente che la proposta sia fatta propria dal Governo così da essere messa nelle condizioni di diventare al più presto legge dello Stato; i tempi rapidi in questo caso sono specificamente richiesti dalla particolare progressione del fenomeno contraffattivo su Internet.
In relazione al secondo aspetto, INDICAM ha partecipato e continua a partecipare all’iniziativa posta in essere dalla Commissione Europea – DG Markt, avente come obiettivo quello di realizzare un accordo (Memorandum of Understanding) che accomuni i titolari di diritti e i fornitori di servizi via web nell’individuazione e applicazione di una serie di best practices comuni in funzione anticontraffazione. Si tratta di un dibattito laborioso, complesso e ancora aperto, nel quale INDICAM intende continuare ad essere parte attiva, a meno che in esso le esigenze della lotta alla contraffazione siano sacrificate per mantenere un più alto livello di attenzione positiva nei confronti del commercio elettronico e dei suoi principali attori.
Sempre sul piano degli accordi volontari, INDICAM, infine, ha sostenuto e propone ai propri associati di sostenere – aderendovi – la Charte francese per la lotta alla contraffazione su Internet, anche in vista del convincente documento tecnico di monitoraggio e controllo dei risultati ottenuti, che ne forma parte integrante.
Deve peraltro essere chiaro che questi due approcci – a livello normativo ed a livello di accordi volontari tra titolari di diritti e prestatori di servizi via web – non si pongono l’uno in alternativa all’altro, ma devono essere integrati e portati avanti in via sinergica, seguendo un percorso evolutivo di progressivo allargamento – geografico e soggettivo – di queste iniziative.

7. La contraffazione nelle Fiere internazionali e le modalità per contrastare questo fenomeno

Tra i molti modi con cui la globalizzazione ha influito sul fenomeno della contraffazione, dobbiamo rilevare anche l’enorme cassa di risonanza fornita dalle Fiere internazionali. Prima ancora di avviare produzioni industriali è fondamentale, per ogni sistema economico, lecito ma anche illecito, far conoscere il prodotto e raccogliere gli ordini necessari e sufficienti per ottenere una massa critica che giustifichi l’avvio della produzione. La medesima regola vale anche per i contraffattori, o meglio per quella tipologia di contraffattori che sfugge al canone tipico del criminale per assomigliare sempre più a quello dell’imprenditore senza scrupoli che, in totale dispregio dell’attività altrui, si appropria delle idee, delle tecnologie frutto della capacità di innovare e delle energie di altre aziende. Un tipo diverso di contraffazione, quindi, ma non per questo meno pericolosa di quella canonica. Per convincersi di questa pericolosità, è sufficiente riflettere sul fatto che le Fiere più importanti forniscono a questi contraffattori un palcoscenico internazionale, per competere con i titolari dei diritti. Inoltre lo spazio fieristico è, sovente una sorta di “terra di nessuno”, dove è facile occultare in uno stand il prodotto contraffatto o usurpativo di diritti altrui, salvo poi proporlo ai clienti nel corso delle trattative commerciali.
Quale soluzione, quindi, per questo problema? I rimedi giudiziari consentiti dal Codice della Proprietà Industriale sono spesso frustrati dalle circostanze oggettive di tempo e di luogo: le Fiere si svolgono sovente a cavallo dei fine settimana, periodo nel quale l’attività giudiziaria è ridotta o addirittura sospesa. Normalmente è quindi difficoltoso rendersi conto della violazione in atto, predisporre il necessario atto introduttivo del giudizio, assicurarsi il provvedimento ed eseguirlo prima che la manifestazione termini. Per non parlare delle difficoltà che si incontrano nel procurarsi la prova, per le ragioni già anticipate e perché lo stand è sostanzialmente un luogo privato, ove è possibile inibire l’accesso a persone non gradite. Né in questo caso sono dirimenti i rimedi offerti dal diritto penale, poiché non sempre le violazioni hanno rilevanza penale e comunque perquisizioni e sequestri non sono rimedi… bon à tout fair.
INDICAM crede fortemente che la soluzione del problema, ovvero – almeno – la sua attenuazione, sia l’adozione di codici di autoregolamentazione da parte degli Enti Fieristici competenti. Regole condivise, meglio se a livello comunitario, tra le varie Fiere e accettate convenzionalmente, al momento dell’acquisizione dello spazio fieristico, dagli espositori, che non potranno successivamente vietare l’accesso allo stand, né sottrarsi alle indicazioni di un apposito “Collegio di Autodisciplina”. Su questo argomento INDICAM ha già predisposto un prototipo di “codice” e sta adoperandosi in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico per farne adottare i principi da tutte le maggiori Fiere nazionali ed internazionali.

8. Le Sezioni Specializzate in materia di tutela dei diritti di P.I.

La lungimirante scelta operata nel 2003 con l’istituzione presso 12 Tribunali e Corti d’Appello di altrettante Sezioni Specializzate in Diritto della Proprietà Intellettuale, con competenza esclusiva a conoscere delle azioni civili in materia di marchi, brevetti, diritto d’autore e fattispecie di concorrenza sleale legate a questi diritti e alla loro violazione, ha fortemente contribuito al rafforzamento della reazione giudiziaria in sede civile contro la contraffazione, che nel nostro Paese è diventata estremamente efficace, con livelli di assoluta eccellenza per quanto riguarda il ricorso alle misure d’urgenza (inibitoria, sequestro, ordine di ritiro dal commercio), che vengono esaminate e concesse con estrema rapidità (normalmente pochi giorni, nel caso di misure a tutela di marchi e design, molto spesso concesse ex parte; pochi mesi, nel caso delle misure a tutela di brevetti, compreso lo svolgimento di una fase di consulenza tecnica nel contraddittorio delle parti), e agli strumenti di ricerca giudiziaria delle prove (ordine di descrizione, normalmente concesso inaudita altera parte).
Le norme su risarcimento del danno e reversione degli utili, adottate nel 2006 in occasione dell’attuazione della Direttiva n. 2004/48/C.E. sull’enforcement dei diritti di Proprietà Intellettuale, sono a loro volta portate ad esempio, a livello comunitario: anche se questi risultati sono ancora in gran parte frustrati dall’eccessiva durata dei giudizi di merito, ancora superiore alla media europea, nonostante i miglioramenti intervenuti (e quelli in cantiere, con le norme processuali, estremamente positive, contenute nello schema di decreto legislativo di revisione del Codice della Proprietà Industriale) e dal problema dei costi del giudizio (rimborsati alla parte vincitrice solo in misura inadeguata, non tenendosi conto delle competenze specialistiche che i giudizi in materia di diritto industriale richiedono ai legali delle parti).
Un ulteriore problema è rappresentato dalla specializzazione dei Giudici che fanno parte delle Sezioni, che è compromessa dalle norme sulla rotazione dei magistrati, a causa delle quali un prezioso patrimonio di esperienza rischia di andare disperso. La strada della specializzazione va inoltre percorsa sino in fondo, affidando alle Sezioni Specializzate la competenza a conoscere tutte le cause in materia di concorrenza sleale (anche qualora non vi sia interferenza con i diritti di Proprietà Industriale) e di diritto Antitrust, rafforzandone gli organici (sia di magistrati, sia di personale ausiliario).

9. Il rafforzamento delle capacità di tutela in sede penale da parte del sistema giudiziario

Se l’istituzione delle Sezioni Specializzate in materia di Proprietà Industriale e Intellettuale in campo civile è stata una mossa vincente, viene da chiedersi se – con obiettivi simili – un’analoga modifica normativa nelle attribuzioni della competenza del giudice penale non possa venire prevista.
In realtà, a prescindere dal piano pratico, la prospettiva sembra presentare, a detta degli esperti di procedura penale, delle difficoltà proprio sul piano normativo che necessiterebbe di interventi assai complessi. Non abbandonando tale prospettiva, ma lasciandola per il momento sull’orizzonte, esistono tuttavia delle azioni che il Governo può promuovere, di concerto con il CSM.
Si tratta, a nostro modo di vedere, di azioni che toccano due piani diversi, uno organizzativo e l’altro “culturale”. Per quanto riguarda il primo, va ricordato che l’esperienza della “specializzazione” con riferimento alla tutela della Proprietà Industriale e Intellettuale non è cosa nuova nel settore penale: nell’ambito delle maggiori Procure della Repubblica sono stati creati in passato – in primo luogo a Milano – dei pool di magistrati specializzati nel perseguimento di reati legati alla contraffazione. Tale esperienza si è rivelata vincente sul piano operativo, avendo favorito lo sviluppo di un’approfondita conoscenza non solo della disciplina normativa, ma anche dell’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, con apprezzabili conseguenze in termini di efficienza nell’esercizio dell’azione penale. Di recente la Procura della Repubblica di Milano ha ricostituito il Pool Anticontraffazione, mentre presso la Procura di Napoli esiste da anni un Pool che si occupa di reati di criminalità economica, all’interno del quale la contraffazione è una delle materie trattate con maggior attenzione.
Per quanto riguarda l’ambito “culturale”, l’introduzione dei temi legati al trattamento penale della Proprietà Industriale e Intellettuale nell’ambito dei seminari di aggiornamento per magistrati organizzati costantemente dal CSM è sicuramente un fattore da non trascurare: la dimostrazione della necessità di questa esigenza è purtroppo assai spesso illustrata dalle difformità di ordinanze e sentenze rese in processi penali in contraffazione, con oscillazioni francamente intollerabili tra pronunce di diversi giudici fra di loro e con quelle della Suprema Corte, che sembrano spesso, in questo campo, minare la certezza del diritto dalle sue fondamenta.
Fin qui gli aspetti “soggettivi” del sistema sanzionatorio, legati quindi al magistrato – giudice o sostituto procuratore che sia – ed alle scelte che è chiamato ad operare in termini di sensibilità al problema. Ma il magistrato è un operatore del diritto e, di conseguenza, a prescindere dalla sua attenzione, occorre che ci siano norme penali da applicare, che consentano una efficace lotta alla contraffazione. È noto che le norme penali di riferimento erano risalenti al codice Rocco e, per quanto l’intervento della Corte di Cassazione ne fornisse una interpretazione più consona ai tempi, da tempo e più volte i titolari dei diritti di Proprietà Industriale ne chiedevano un adeguamento a canoni più attuali. La risposta a queste istanze è stato un articolato (proposto dall’Alto Commissario per la Lotta alla Contraffazione, proprio poco prima della sua soppressione) inserito nel provvedimento “multidisciplinare”1, promulgato come legge 23 luglio 2009, n. 99. Senza addentrarsi negli aspetti più tecnici, è tuttavia importante evidenziare che nelle nuove norme possono essere individuate alcune linee guida principali:

  • introduzione di nuove fattispecie penali e tra le altre, in particolare, una nuova forma di reato associativo concepita per colpire specificamente i reati di contraffazione;
  • nuovi strumenti per impedire che il provento del reato di contraffazione possa comunque restare nella disponibilità del contraffattore (nuova struttura della confisca dei proventi di reato, che oggi è possibile eseguire sia per equivalente, sia nei confronti di persona terza);
  • riconducibilità dei fenomeni più gravi nell’ambito della Direzione Distrettuale Antimafia;
  • possibilità di attivare operazioni sotto copertura per reprimere le condotte più gravi;

Il testo oggi in vigore, essendo il frutto di un lungo iter parlamentare, ha subito delle modifiche rispetto alla formulazione iniziale, che aveva il pregio di essere stata elaborata anche con il contributo di tutti gli operatori del settore sia in ambito governativo che privato. Inoltre da più parti era stato auspicato un intervento legislativo che risolvesse alcuni dubbi interpretativi sorti nell’applicazione delle vecchie norme penali. La legge 99/2009 non ha risolto i vecchi problemi e, forse, ne ha sollevati di ulteriori. Nonostante ciò non vi è dubbio che le nuove norme costituiscono un notevole rafforzamento degli strumenti giudiziari in ambito penale destinati alla lotta alla contraffazione.

10. Introduzione di sanzioni amministrative proporzionate per importatori, venditori e produttori di prodotti contraffatti

Sempre in tema di repressione giudiziale della contraffazione, appare opportuno non trascurare la possibilità di utilizzare, oltre alla via penale e quella civile, anche la via amministrativa. Questa possibilità, degna di attenzione in assoluto, appare oggi più facilmente radicabile utilizzando la Finanziaria 2004 all’art. 4, commi 79, 80.
In essa si prefigurano due utili aree di intervento, il cui effetto, tra l’altro, dovrebbe poter andare ben al di là del commercio abusivo di strada: al comma 79 di detto articolo, il ruolo assegnato al MSE di denuncia di qualsiasi attività contraffattiva appurata potrebbe essere ampliato a coprire il territorio, mediante l’estensione (o la delega) ad Amministrazioni locali (p.es. la Provincia); al comma 80 occorrerebbe, una volta chiarita la dizione “Autorità amministrativa”, far sì che essa autorità, in applicazione dell’art. 10, lettera b) seconda parte della legge 7 agosto 1990, n° 241, sia tenuta a pronunciarsi circa la sussistenza dei fatti esposti e qualora questa sia accertata, ad adottare misure cautelari e sanzionatorie da definirsi con proprio decreto motivato. Queste potrebbero comprendere l’immediato sequestro amministrativo dei prodotti contraffatti nonché dei mezzi di produzione e degli strumenti atti ad operare la contraffazione e l’immediata successiva segnalazione all’Autorità Giudiziaria, nonché la sospensione delle autorizzazioni alla vendita, all’esercizio del commercio e della produzione, oltre a sanzioni amministrative di carattere pecuniario di entità rilevante e comunque proporzionate all’ampiezza dell’attività nel suo insieme.
Inoltre, sotto il profilo procedurale, si tratterebbe di uno strumento di facile sostenibilità per rovesciare l’onere di attività ricorsiva (giudiziaria o amministrativa) sul presunto contraffattore. Le inadempienze dell’Autorità Amministrativa circa l’applicazione di questi provvedimenti potrebbero essere a loro volta sanzionate amministrativamente in applicazione alle norme di cui alla legge 21 luglio 2005, n° 205, dando così un ulteriore impulso alla corresponsabilizzazione delle autorità amministrative locali inattive sotto questo profilo, come auspicato nel paragrafo 3.
Ma non è tutto: la legge 23 luglio 2009 n. 99, ha altresì inserito un nuovo strumento che rafforza l’efficacia della sanzione amministrativa. La legge prevede la confisca amministrativa dei locali ove sono prodotti, depositati, detenuti per la vendita o venduti i materiali contraffatti, salvaguardando il diritto del proprietario in buona fede. È evidente che questa misura costituisce certamente un deterrente per coloro i quali affittano locali destinati, almeno presumibilmente, ad essere utilizzati per la produzione, il deposito o la detenzione di prodotti contraffatti. Sino all’entrata in vigore di questa norma questi soggetti non erano soggetti ad alcuna sanzione amministrativa o penale. Resta da verificare, come sempre, l’effettiva applicabilità, considerato che il sequestro amministrativo dei locali è previsto solo “salvo che il fatto costituisca reato”.

11. Contraffazione e made in Italy

Confinato a lungo in un passato anche recente all’ambito specialistico o trattato come qualcosa di poco più che folkloristico, il termine “contraffazione” ha in Italia da tempo una grande fortuna mediatica: esso viene utilizzato con grande scioltezza, che quasi sempre sconfina nell’imprecisione e nel sensazionalismo, per designare fenomeni molto diversi non solo sul piano giuridico, ma anche su quello economico e sociale. Questa disinvoltura – spesso “colposa”, a volte “dolosa” – nell’uso del termine ha generato una micidiale confusione, a tutti i livelli, tra difesa dalla contraffazione e presidio del made in Italy, così come ha classificato fra gli strumenti di lotta alla contraffazione dazi o diritti doganali o prescrizioni sull’etichettatura che – equi o iniqui, applicabili o inapplicabili che siano – con la contraffazione poco hanno a che spartire.
La recente volontà politica di accreditare leggi a tutela del made in Italy, che nella migliore delle ipotesi non sono applicabili e nella peggiore sono sanzionate dall’Unione Europea, ha alimentato la confusione di cui si è detto, “‘spacciando” dati relativi alla lotta alla contraffazione, come portato di una “severa” tutela del made in Italy e confondendo ulteriormente le cose. La sindrome è uguale a quella del gridare “Al lupo, al lupo” per puri motivi strumentali: il risultato è che un fenomeno gravissimo e in forte espansione come la contraffazione e altre violazioni connesse, anziché trovare un freno, se ne avvantaggia e che, parallelamente, il presidio e rilancio del made in Italy d’eccellenza, progetto degno della massima attenzione e priorità per la sua rilevanza ai fini dell’accrescersi della competitività del Sistema Paese, non ne trae il minimo beneficio.
INDICAM ha già ripetutamente preso una posizione di chiara contrarietà a questa deriva tanto in interventi pubblici che in documenti diffusi; evitando le ripetizioni, sembra tuttavia importante – in un testo dedicato alla contraffazione – ribadire, almeno due considerazioni:
o la tradizionale leadership italiana in Europa per produzione e consumo di prodotti contraffatti non è mai venuta meno, anche se sul piano della produzione molti dei contraffattori nostrani hanno “messo in rete” la propria attività – ora quindi non più puramente locale – con organizzazioni di nazionalità diversa dedite alle stesse pratiche; di molte produzioni contraffattorie si può quindi dire che sono in tutto o in parte realizzate in Italia e che quindi potrebbero paradossalmente fregiarsi di un’indicazione made in Italy;
o le strutture e le risorse destinate al presidio dell’indicazione made in Italy sono le stesse alle quali già compete la lotta alla contraffazione: posto che le violazioni inerenti il primo aspetto assai raramente comportano fattispecie rilevanti sotto il diverso profilo della contraffazione, dovendo concentrare i loro sforzi su un tema, difficilmente queste strutture potranno seguire l’altro con la medesima efficacia.
Nel contesto del sopra denunciato “corto circuito” mediatico e politico tra contraffazione e made in Italy, la conseguenza delle due considerazioni combinate rischia seriamente di portare a una drastica diminuzione dell’impegno nei confronti della lotta alla contraffazione e a un Paese candidato a essere il terminale europeo dell’attività contraffattoria mondiale.

12. La contraffazione non colpisce solo oggetti “futili”: è un pericolo, diretto o indiretto, per la sicurezza collettiva

A guisa di conclusione ci sembra opportuno richiamare l’attenzione su un fatto che, benché largamente noto e comprovato, viene per lo più trascurato a livello di opinione pubblica: la contraffazione – condannabile in sé qualunque prodotto colpisca – va molto al di là dei suoi esempi più visibili che si trovano nel mondo della moda, degli accessori e di altri oggetti, che sembrerebbe facile definire “futili”, se non fosse che anche dietro ad essi c’è il controllo sulla qualità e l’innocuità di materie prime, componenti e finissaggi, la ricerca e il know-how degli specialisti, lo sforzo finanziario dell’imprenditore, il lavoro delle maestranze, l’impegno del venditore, l’investimento del commerciante. Senza contare che il prodotto contraffatto è al centro di un’attività che si basa sul lavoro nero, che consente il riciclaggio di denaro e il suo investimento in altre attività illegali di grande pericolo sociale, quali la diffusione di droga, il controllo della prostituzione, il traffico di armi o addirittura il terrorismo, spesso sotto il controllo della criminalità organizzata.
Occorre rendersi conto che la contraffazione colpisce anche prodotti “sensibili” come giocattoli, alimenti, bevande, medicinali e paramedicinali, sigarette, apparecchiature elettriche di uso domestico, ricambi per automobili, ricambi per aerei e molto altro ancora. Per ognuno di questi oggetti – e anche per altri apparentemente meno “sensibili” come il tessile, le calzature, l’occhialeria – si può affermare senza tema di smentita che il prodotto contraffatto è, come minimo, qualitativamente inferiore a quello autentico, fino a diventare un serio pericolo per chi lo consuma o lo adopera.
La legislazione nazionale e comunitaria nel corso degli ultimi anni ha rafforzato la tutela del consumatore, soggetto debole per definizione, ma questi strumenti spiegano i loro effetti solo nei confronti del fabbricante legittimo che si assume la responsabilità dei propri prodotti, delle caratteristiche che denunciano, delle norme che debbono rispettare e ne risponde; il contraffattore no: un giocattolo o un’apparecchiatura elettrica non a norma, un medicinale privo di principio attivo, una parte di ricambio non funzionante, un capo tinto o conciato con prodotti tossici possono uccidere o menomare. È bene ricordarlo.

A cura di INDICAM, giugno 2010

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