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VERSO L’ABOLIZIONE DELLE BATTERIE NON RICARICABILI e DIGITAL ACT: SVILUPPO DEL WEB E RISCHI CONTRAFFAZIONE

VERSO L’ABOLIZIONE DELLE BATTERIE NON RICARICABILI

Uno degli argomenti che suscitato maggiore interesse (e preoccupazione) nel corso della riunione del Comitato Permanente dell’Orologeria Europea svoltasi il 16 ottobre scorso, è stato quello del progetto di revisione della Direttiva 2006/66/UE sulle pile ed accumulatori nel cui ambito si sta discutendo di sostituire in ogni campo di utilizzo le attuali batterie con quelle ricaricabili. Nel settore dell’orologeria questa novità rappresenterebbe un notevole problema sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, gli orologi dovrebbero essere completamente riprogettati per poter essere dotati di un ingresso per il cavo di ricarica e per poter dare alloggiamento alla batteria ricaricabile che ha necessariamente una dimensione maggiore rispetto alle attuali.

Questo significa avviare una progettazione e produzione del tutto nuova di orologi al quarzo di dimensioni maggiori con l’ulteriore conseguenza di determinare la immediata obsolescenza di tutti gli orologi progettati fino ad oggi e pensati per funzionare con pile usa e getta.
La questione è attentamente seguita a livello europeo dagli organismi internazionali di settore a cui ASSOROLOGI aderisce.

DIGITAL ACT: SVILUPPO DEL WEB E RISCHI CONTRAFFAZIONE

In sede europea è all’esame la revisione della normativa sulle tecnologie digitali ed il loro sviluppo sui mercati, allo scopo di aggiornare le vecchie regole risalenti a 20 anni fa quando i grandi player mondiali del commercio online non esistevano ancora.

Su questa tematica, ASSOROLOGI ha avviato una interlocuzione istituzionale attraverso i Servizi Legislativi di Confcommercio, affinché vengano tenute in considerazione le esigenze di tutela dei diritti di proprietà industriale in rapporto all’enorme sviluppo dell’e commerce.

A supporto di questa azione, ASSOROLOGI ha fatto propria la nota predisposta da INDICAM che espone in 10 punti le richieste in tema di revisione del Digital Service Act. Ecco il testo:

COSA SI CHIEDE AL NUOVO DSA?
1. In primo luogo, che si prenda in seria considerazione il punto imprescindibile per cui un prodotto illegale venduto offline rimane illegale se venduto su Internet;
2. Una definizione precisa di prodotti illeciti come beni che violano norme di diritto civile e penale (sono quindi qui da includersi i prodotti che violano diritti di proprietà intellettuale);
3. Una definizione di cosa si intenda per “piattaforme”; si chiede che siano ricompresi nell’ambito di applicazione del DSA tutti gli attori che direttamente o attraverso terze parti svolgano un ruolo nella promozione, vendita, acquisto, pubblicizzazione, pagamento e spedizione dei beni;
4. Un framework normativo chiaro e inequivocabile che imponga alle piattaforme l’adozione di misure proattive per prevenire la vendita di prodotti illeciti: il meccanismo del “Buon Samaritano” non è più accettabile, l’azione di enforcement sulle attività illegali condotte attraverso le piattaforme non può dipendere semplicemente dalla buona volontà di alcune, mentre la maggior parte si tiene ben salda al regime del “safe harbour” previsto dalla Direttiva E-Commerce;
5. Un controllo responsabile dei sellers, per individuare i venditori sospetti e i trasgressori recidivi attraverso un’analisi dei loro dati (utente, di navigazione, di location, di connettività, bancari e di pagamento, oltre che quelli rinvenibili da database esterni): ad oggi, per esempio, è possibile per chiunque aprire e gestire più account su qualsiasi piattaforma, vanificando quindi l’adozione di misure come quella dei “3 strikes” che fa sì che l’account infringing sia cancellato dopo 3 violazioni accertate;
6. Doveri di trasparenza e condivisione dei dati in capo alle piattaforme, a incentivo di un flusso simmetrico e nitido di informazioni con i titolari di diritto e le forze dell’ordine; si suggerisce altresì la produzione di reportistiche che evidenzino l’andamento del commercio illecito online e le attività di enforcement implementate a contrastarlo;
7. Una semplificazione dei processi di “Notice & Take Down”, che come già precedentemente menzionato sono spesso farraginosi e complessi per i rightholders che impiegano ingenti risorse nel monitoraggio. Di contro, le reazioni delle piattaforme si dimostrano spesso lente e poco cautelative per i titolari di diritti, per cui diventa auspicabile l’introduzione di buone pratiche tese ad alleggerire tali procedimenti. Inoltre, è fondamentale che le piattaforme comincino, ove possibile, ad applicare la pratica del “Notice and Stay Down”, rimuovendo non solo una versione del prodotto illecito ma tutte quelle connesse, senza che sia necessaria una nuova segnalazione per la medesima violazione;
8. Un richiamo alle piattaforme di inserire nei propri “Terms and Conditions” il divieto assoluto di upload di immagini prese dai siti web ufficiali per i soggetti non autorizzati dal titolare, oltre che di loghi sfuocati o prodotti ritratti da angolazioni che non permettono di stabilire la natura del bene. È evidente che a tale condizione deve seguire necessariamente un dovere di intervento per l’immediata rimozione dei listings in violazione;
9. Un rimando alla possibilità per le piattaforme di servirsi di strumenti tecnologici per il contrasto al commercio di prodotti illegali: eventualità peraltro già prevista dalla Direttiva E-Commerce che stabiliva che gli stessi mezzi utilizzati per finalità di marketing e di listing potevano essere usati anche per il rilevamento di beni illeciti. Parliamo di sistemi antifrode, database, AI, sistemi di image recognition, e tanti altri: la mole di dati e informazioni raccolta tramite questi strumenti può sicuramente fornire un importante aiuto nella lotta alla contraffazione e non solo;
10. Last but certainly not least, è importante che il DSA tenga ben presente il danno subito in prima battuta dai consumatori, la cui fiducia nei fornitori di servizi digitali è essenziale all’esistenza stessa di Internet. Accade che chi acquista sul web un prodotto illecito non sia reso edotto della rimozione dello stesso dai listings; oltre al seller, l’unico altro soggetto consapevole dell’identità dell’acquirente è la piattaforma, che perciò dovrebbe essere tenuta a trasmettere tale informazione al consumatore.

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